FOTO – Prima Messa del Sacerdote Novello Matteo Gattafoni a Vasto

FOTO – Prima Messa del Sacerdote Novello Matteo Gattafoni a Vasto

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 Omelia tenuta da don Domenico Spagnoli

In occasione della Prima Messa del Sacerdote Novello Matteo Gattafoni a Vasto

Santa Maria Maggiore – 30 giugno 2018

 

Carissimi, è tradizione che nella Prima Messa solenne di un sacerdote novello prenda la parola il parroco, restituendo alla comunità il senso del miracolo avvenuto nella consacrazione e indicando un percorso utile al giovane ordinato.

Mi ritrovo questa sera a parlare, non per meriti personali, ma semplicemente per il dono della Divina Provvidenza che ha voluto affidare, a noi intera comunità di Santa Maria Maggiore, Matteo Gattafoni per due anni di tirocinio pastorale. Ci lasciamo guidare dunque dalle Letture della XIII domenica del Tempo Ordinario.

Abbiamo ascoltato il brano tratto dal Libro della Sapienza che ci indica un Dio che “non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi”, soprattutto un Dio che ha creato tutte le cose perché esistano, iniettando in ognuna il bene. Tutto è stato creato per il bene seppure non tutto venga utilizzato e finalizzato al bene. Quanto ci consola conoscere le intenzioni di Dio e così riscoprire la vocazione dell’uomo! Usare bene delle cose di Dio, servirsene finalizzandole al bene! Il ministro di Dio, il servo di Dio, il sacerdote non è forse colui che deve vivere riconciliato con il Dio di ogni cosa? Non è forse colui che deve aiutare i fedeli ad indirizzare al bene ogni cosa? Tutto questo sarà possibile nella misura in cui lo fa in prima persona. Volgere al bene tutto perché ne abbiamo fatto esperienza: servirci di tutto benedicendo il suo Nome in modo da vivere in letizia. Ciò andrà fatto, caro don Matteo, con uno stile sacerdotale: lo stile proprio della tua persona che però si mette davanti a Gesù e al Suo Vangelo lasciandosi interpellare, giorno dopo giorno. Operare il discernimento: tra le mille cose buone, cosa è più buono per me qui ed ora? Cosa fa bene davvero a tutta la mia vita sacerdotale? Cosa mi fa crescere nell’amore e non nell’egoismo? Solo così potremo aiutare il popolo di Dio a riferire ogni occasione al bene. Uno stile sacerdotale che sa essere dunque generoso dicendo dei “no” che disperdono energie, per finalizzare tutto alla gioia piena. Uno stile generoso, come ci ha ricordato la Seconda Lettera ai Corinzi, “siate larghi in quest’opera generosa…”: abbiamo ricevuto tanto soprattutto noi presbiteri e siamo sempre in debito verso Dio e verso i fratelli! Non possiamo presentare il conto, così come una madre non potrà mai farlo verso il figlio: diamo perché abbiamo ricevuto e non rinfacciamo, perché il sacerdote non può che essere generoso essendo stato inondato dalla Misericordia di Dio.

Un secondo passaggio mi sembra provenire da questo cammino verso la sorgente: dal dono al Donatore. Dal dono che tutti abbiamo ricevuto in una qualche vocazione a Colui che largamente dispensa ogni grazia. Quanto è importante, in modo particolare per noi pastori, non concentrarci sulla nostra persona; in una epoca in cui siamo schiavi del selfie (“Siamo l’esercito del selfie” recita una canzone di qualche tempo fa), il rischio è quello di metterci troppo al centro e di raccontare troppo di noi e poco di Dio. Lasciamo che il Selfie lo faccia Dio! Quando Dio “si fa il selfie” veniamo fuori noi, che siamo creati a immagine e somiglianza Sua. Al di là dell’esempio che può sembrare banale, la nostra vita deve e può mostrare Dio e farci trovare serenità. Alcuni fedeli proveranno a metterci al centro sia in negativo che in positivo: quando qualche cosa non andrà scaricando sul parroco le responsabilità di tutto, e quando le cose andranno bene esaltandolo e quasi considerandolo un idolo. Nella mia esperienza, ho imparato che siamo servi e facciamo bene davvero, nella misura in cui stiamo al nostro posto. Lasciamoci trasportare dallo Spirito come recita il rito della Ordinazione – “sotto la guida dello Spirito” – perché sia Cristo a parlare, a guarire, a consacrare, ad agire in noi e attraverso di noi. Lo stile ancora una volta è importante: mai da solo! Gesù si porta i discepoli e, nei momenti fondativi, alcuni in particolare: Pietro, Giacomo e Giovanni. Nel Vangelo di questa sera, Egli porta nella camera del dolore e della morte della figlia di Giàiro, proprio questi discepoli perché siano a contatto con le lacrime e gustino la gioia della liberazione. Si tratta di una icona di Chiesa. Sostenere, accompagnare la Chiesa dei pellegrini perché vi sia una esperienza di Dio sempre, anche nelle stanze umane della sofferenza e della morte. Uno stile in cui il sacerdote cammina con la comunità e in essa sa portare luce, sempre e dovunque.

In ultimo vorrei consegnarti l’esempio della donna emorroissa che, pur sapendo che la sua impurità doveva tenerla lontana dalle folle, si avvicina ed osa: cerca Gesù. Ella formalmente disobbedisce alla Legge, visto che una donna malata e che perdeva sangue non avrebbe dovuto toccare nessuno. Ella lo fa credendo in un Dio più grande, intuendo la profondità del cuore Dio. Osa e riconosce di dover essere onesta davanti alla domanda di Gesù: “chi mi ha toccato?”. La donna esce allo scoperto con la sua fede e da una lezione di vita a tutti. La donna insegna alle folle! La donna insegna anche a noi preti! Caro Matteo il tuo sacerdozio è una chiamata quotidiana a diventare ciò che sei. Tutto questo sarà possibile se con umiltà conserverai nella preghiera l’Ascolto di Dio e di ciò che Dio vorrà dirti attraverso i fatti e le persone che ti saranno affidate. Il sacerdozio inizia adesso e tutto ciò che abbiamo imparato in seminario e nelle attività pastorali andrà ridefinito in questo spirito di umile ascolto. Personalmente ti posso testimoniare che la preghiera mi ha sostenuto in questi anni di sacerdozio e mi ha fatto vedere la mano di Dio che mi sosteneva nelle fatiche. La preghiera mi ha fatto imparare anche dai miei errori, cadute e peccati. Dunque con umiltà il sacerdote deve ogni giorno imparare ad imparare.

Chiudo con le parole del Beato Tommaso da Celano che descrive l’atteggiamento di San Francesco verso i sacerdoti. Dedico questo testo a te mentre io stesso mi lascio interpellare e  commuovere: “Francesco voleva che si dimostrasse grande riverenza alle mani del sacerdote, perché a esse è stato conferito il potere di consacrare questo sacramento. Diceva spesso: Se mi capitasse di incontrare insieme un santo che viene dal cielo e un sacerdote poverello, saluterei prima il sacerdote e correrei a baciargli le mani. Direi infatti: Oh! Aspetta, san Lorenzo, perché le mani di costui toccano il Verbo della vita (cfr. 1 Giovanni, 1, 1) e possiedono un potere sovrumano!” (Tommaso da Celano, Memoriale nel desiderio dell’anima, 201).

Tanti auguri don Matteo e buon ministero

FOTO di  Nicola Cinquina

 

 

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