STORIA DELLA CHIESA DI S. MARIA MAGGIORE

STORIA DELLA CHIESA DI S. MARIA MAGGIORE

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La Chiesa sorge in pieno centro storico. Le sue origini risalgono al 427 e viene citata, per la prima volta, in un diploma regio del 1195, in cui è menzionata “S. Maria in Guasto Aimone”, inclusa tra i beni ecclesiastici, già concessi da precedenti diplomi confermati a S. Giovanni in Venere, monastero benedettino della vicina Fossacesia.
Successivamente assunse una notevole ampiezza e fu intitolata a S. Maria Maggiore. Come sembrerebbero testimoniare alcuni reperti rinvenuti durante i lavori di rifacimento e ristrutturazione, assunse una ragguardevole estensione nel 1234 con l’aggiunta al Tempio di un decoroso vestibolo, opera di un Mastro Berardo, e, nel 1331, con l’edificazione, sulle rovine del vecchio campanile, di una nuova torre di forma quadrata che consta di tre punti; la base detta “la battaglia”, nucleo superstite di fortilizio saraceno, normanno e avanzo di Castel Gisone, il fusto, opera del XIV sec., che ha due finestre a sesto acuto per lato, la cella campanaria che posa sopra una cornice di stile classico di arte medioevale, iniziata nel 1714 e compiuta nel 1730.

Il 1° agosto 1566 il turco Pialy Bassà (Pascià), con quattro galee, giunse in Abruzzo e la invase, seminandovi, terrore rovine e distruzioni. Vasto non potè sfuggire a tale flagello. La Chiesa, come tutti gli altri luoghi di culto, fu saccheggiata e incendiata.

Un altro incendio, divampato nella notte del 14-15 giugno 1645, distrusse la Chiesa che fu ricostruita a spese della città e provvista di ricchi arredi sacri dalla munificenza dei Marchesi d’Avalos signori del Vasto.

Fu ampliata nel 1785 e decorata con lavori di stucco in stile rinascimentale nella prima metà del sec. XIX.

Con pari devozione vi fu poi, in una gara di altrettanta generosità, il contributo di numerose donazioni e lasciti testamentari provenienti dalle classi della borghesia. Oggi si ammira il pregevole Reliquiario a sbalzo d’argento dorato, a forma di giarra, su cui posa una custodia di cristallo entro la quale si vede infissa una “Spina” della corona che trafisse il capo di Gesù (Pio IV la donò a Francesco Ferdinando d’Avalos, governatore di Milano).

Descrizione Artistica:

La Chiesa di Santa Maria Maggiore si compone, all’interno, di tre navate. Quella di destra presenta in fondo la Cappella che custodisce la reliquia della Sacra Spina, realizzata nel 1890 su progetto dell’architetto Roberto Benedetti e poi ristrutturata nel 1921 e nuovamente decorata nel 1933. Il IV pilastro presenta una nicchia, decorata con marmi pregiati e chiusa da due ante bronzee, fatta eseguire nel 1647 da Diego d’Avalos per custodire la Sacra Spina. Nei pilastri a sinistra e sulla parete a destra figurano lapidi e sacelli con iscrizioni.

Nella navata centrale e nel Coro campeggiano, entro le rispettive nicchie, sul lato destro, procedendo verso il Coro, le statue di S. Tommaso, S. Giacomo, S. Giuda e S. Giovanni Evangelista; nel Coro, da destra e sinistra, le statue di S. Paolo e S. Pietro.

In senso inverso, troviamo la statua di S. Andrea, seguita dal pulpito in noce massiccio, pregevole opera dell’ebanista vastese Angelo Raspa datata 1908, quindi le statue di S. Filippo e S. Giacomo Maggiore.
Lungo il fregio perimetrale della navata, dalla sinistra della cupola, a caratteri d’oro, l’antica antifona:” ASSUMPTA EST MARIA IN COELUM ADEAMUS CUM FIDUCIA AD THRONUM GRATIAE UT MISERICORDIAM CONSE- QUAMUR ET GRATIAM INVENIAMUS IN AUXILIO OPPORTUNO”- Maria è assunta in Cielo. Andiamo con fiducia al trono della grazia, affinché possiamo ottenere misericordia e trovare la grazia al momento opportuno.

Sotto l’Altare Maggiore si trova la cripta, realizzata nella metà dell’800 su pro- getto di Nicola Maria Pietrocola, per custodirvi il corpo di S. Cesario Martire, vesti- to da soldato martire insieme con un’ampolla vitrea che ne contiene il sangue. All’interno della teca si trova la lettera autentica che ne attesta la donazione fatta a Cesare Michelangelo d’Avalos il 3 Novembre 1695. Le reliquie furono da subito custodite nella Chiesa.

Sulla sinistra dell’altare Maggiore, in prossimità del Coro, si trova collocato un prezioso organo portatile risalente al 1719, opera di Domenico Mangino, pregevole per la sua fattura e per le sue canne plumbee originali.

Da segnalare, poi il Fonte Battesimale, pregevole opera scultorea del 1572, collocato nella propria cella, all’inizio della navata centrale, sul lato sinistro a sua volta sormontato dalla tela seicentesca di San Giovanni Battista, il Precursore.

Lungo la navata sinistra si possono ammirare la settecentesca tela della Madonna della Neve, l’Ecce Homo della scuola del Tiziano, lo sposalizio di S. Caterina, d’Alessandria attribuito a Paolo Chiari, detto il Veronese, il Battesimo di S. Agostino di A. Benefatto allievo del Veronese, ed altre opere di notevole valore come la Madonna del Gonfalone nella Cappella della Madonna del Rosario recentemente restaurata insieme a tutta la navata sinistra.

Ultima perla ad ulteriormente impreziosire la Chiesa è stata la sistemazione dell’artistica porta bronzea opera dello scultore Antonio Di Spalatro inaugurata nell’anno giubilare del 2000.

Il “corpo” di San Cesario

Nel 2014, per volontà del parroco e del consiglio parrocchiale, si è svolta l’opera di restauro della cripta contenente il corpo del Santo Martire Cesario.
Durante la ricognizione canonica delle reliquie di S. Cesario si è ritrovata dell’antica documentazione sull’autenticità del “corpo santo” e della consegna alla chiesa di S Maria Maggiore.

Dai documenti originali si ricostruisce la storia di questa importante reliquia per la Città del Vasto.

Il 3 Novembre 1695 Don Cesare Michelangelo d’Avalos (Marchese di Pescara che ereditò il titolo di marchese del Vasto nel 1697) alla presenza dell’Arcivescovo di Chieti, Nicolò Radulovich, dona alla sua chiesa parrocchiale una preziosa teca di legno chiusa con sigilli («cum sigillis integris et non fractis»).

Lo scrigno custodiva al suo interno le ossa di un Santo Martire accompagnate da un’ampolla che ne racchiudeva il sangue.
Il Santo, come attestato dalla lettera autentica del Cardinale Gaspare Carpegna Vicario di Roma, che ne accompagnava il dono, portava il nome di Cesario.

Si trattava di un soldato Martire che fu solennemente consegnato, dal marchese, alla chiesa di Santa Maria Maggiore perché ne curasse la devozione.

Il martire proviene dal cimitero di San Castulo situato lungo l’attuale Via Casilina in Roma. Le notizie storiche piuttosto scarne su S. Cesario hanno lasciato spazio, nel corso degli anni, alla formulazione delle teorie più disparate intorno alla sua figura, a partire dal nome.

Il nostro Martire è stato rinvenuto vicino al corpo di S. Castulo (nome scritto sulla lapide), denominato “Zetarius Cubicoli Diocletiani Augusti ”; questi cioè cameriere dell’imperatore, accusato di cristianesimo, fu condannato a morte e sepolto in una cava di arenaria lungo l’antica via Labicana, si pensa che anche il corpo sepolto vi- cino fosse “ Zetarius…” e che scoperto cristiano subì lo stesso martirio.

“ Cesarius” potrebbe derivare proprio da una omofonia con il titolo lavorativo del martire, da Zetarius a Cesarius.
Secondo la tradizione vastese, il nome potrebbe essere stato attribuito in onore di Cesare Michelangelo d’Avalos, che fece la donazione del sacro corpo alla chiesa. L’urna di S. Cesario venne trasferita nella cripta sotto il presbiterio della chiesa poco dopo la metà dell’Ottocento, appena vennero ultimati i lavori su progetto dell’architetto Nicola Maria Pietrocola.

Il Martire indossa un ricco vestito da soldato romano, in fili d’argento, oro e seta in discreto stato di conservazione. Il volto è ricoperto da un sottile velo, un tempo forse dipinto con lineamenti umani.
Il capo è cinto da una corona di fiori e da un’aureola in filo di ferro. Le braccia sono sollevate: la sinistra regge l’ampolla vitrea con il sangue, mentre la destra la palma del martirio.

Sulla base sono visibili anche un elmo, antico, in cartapesta e la riproduzione di una spada, una daga romana, donata durante la ricognizione del 2014 in sostituzione della imitazione antica, in legno, trovata nella teca ma in cattivo stato di conservazione. Nell’opera di restauro è stata sostituita anche la palma del martirio, quella originale era in cartone rivestito in stoffa ma ormai deteriorata dal tempo.

Il minuzioso restauro della teca, in legno dorato, contenente il Santo è stato effettuato grazie al contributo della Confraternita della Sacra Spina e del Gonfalone che si è fatta mecenate dell’opera.

All’interno della Cripta si può apprezzare una pregevole statua lignea policroma cinquecentesca di Madonna con Bambino e un espressivo Crocifisso ligneo settecentesco.

Il nostro San Cesario è dunque un santo adottato dai vastesi che da generazioni lo considerano protettore contro i terremoti e le guerre.
Generalmente i vastesi, e in particolare i più anziani, sono legati a questa figura nel ricordo degli anni della Seconda Guerra Mondiale. In quel periodo in molti, durante le difficoltà e i combattimenti, si rifugiarono in cripta per pregare e per chiedere la liberazione dalle atrocità del conflitto.

Il fatto poi che la liberazione di Vasto avvenne subito dopo la festa di San Cesario del 3 novembre 1943 costituì per tutti un segno dell’intercessione dell’amico celeste per la sua città.
San Cesario risulta infatti nella postura di chi sta per alzarsi mentre rivolge il suo sguardo al curioso visitatore.

Nella prefazione al libro “San Cesario del Vasto” edito per l’occasione della ricognizione, il parroco, Don Domenico Spagnoli, commenta cosi la postura del santo “Mi piace interpretare la volontà degli artigiani, che vollero comporre lo scheletro in questo atteggiamento, come un messaggio dal sapore evangelico: il Signore non abbandona nessuno nella tomba perché Egli ha vinto la morte.

In questa prospettiva, la vita del credente deve essere sempre quella del pellegrino che non si lascia mai vincere dalla fatica, dalla tristezza o dalla pigrizia ma che si rialza, cercando di affrontare tutto con fiducia.”